Questo post non vi darà nessuna informazione utile o per lo meno pratica sulla Corea, ma sarà un modo personale per me per far luce sui cambiamenti che ho avuto e sui quali finora non ho mai riflettuto e per voi, forse, per conoscermi un po’ meglio.
Tra qualche settimana sarà il 5 anniversario del mio arrivo in Corea.
CINQUE ANNI. L’ho realizzato solo in questo momento, seduta in un treno che mi sta portando da Nizza a Firenze per lavoro. Con lo sguardo perso nell’infinita distesa di spiagge che mi scorrono veloci a lato. La prima impressione è che questi anni siano volati, letteralmente, ma cercando di elencare mentalmente tutti gli eventi successi in questo periodo mi sono resa conto di come, il mio arrivo in Corea, sembri in realtà un ricordo distante e questi appartenente a qualcun altro, un ricordo non mio.
Appena arrivata a Seoul ero euforica, un euforia che era un misto di aspettative e allo stesso tempo di timore. Timore di non essere in grado di farcela con le mie sole forze, timore di non riuscirmi ad adattare alla vita in una nazione con una cultura totalmente diversa dalla mia. Per il primo anno tutto è stato un susseguirsi di prime esperienze, era un po’ come essere tornata bambina, nulla era dato per scontato e ogni giorno portava con se un nuovo insegnamento.
Ora sono passati 5 anni. Il corso di coreano che ha dettato l’inizio di questa avventura è ormai un ricordo opaco, quasi appartenete ad un altra vita. La libertà di essere sempre fuori con gli amici a divertirmi e a scoprire questa nuova realtà e la spensieratezza di non dovermi preoccupare del futuro sono ormai privilegi che non mi posso più permettere. Senza nemmeno rendermene conto mi sono ritrovata catapultata in uno tsunami di responsabilità dalle quali non posso fuggire. Le mie priorità sono completamente cambiate e mi sono ritrovata a preoccuparmi 24h su 24 di faccende di lavoro e università, a volte quasi arrivando ad annullare la mia vita sociale. Sono diventata adulta. O forse no, sono solo diventata coreana.
Questa serie di pensieri che mi sono improvvisamente esplosi nella testa senza alcun preavviso mi hanno fatto riflettere molto: sarei la stessa persona che sono oggi anche se non fossi andata in Corea? Avrei lo stesso carattere? Le stesse priorità? Forse no. Anzi, sicuramente no.
Dato che sono una persona matematica e onestamente i post troppo discorsivi non fanno proprio per me, proseguiamo subito con un bel elenco di tutti i cambiamenti che ho riscontrato dopo 5 anni vissuti in Corea. Li scoprirò anche io qui con voi man mano che scrivo questo articolo.
Dalla bella di giorno alla bestia di notte
Osservando la mia immagine riflessa nel finestrino di questo treno, che sembra non arrivare più, mi sono resa conto di come il mio modo di truccarmi, vestirmi e prendermi cura di me stessa sia radicalmente cambiato.
Sono ormai 16 anni che le vacanze estive le trascorro sulla costa Francese, questo treno mi ha vista crescere anno per anno, ma da quando sono partita per la Corea sono riuscita a venire solo un paio di volte. In passato avrei probabilmente indossato una t-shirt presa a caso dal mio armadio e un paio di shorts con delle scarpe da ginnastica, ma ora le cose sono cambiate.
La popolazione coreana, specialmente le nuove generazioni, è estremamente attenta alle apparenze. Si viene spesso e volentieri giudicati in base al modo in cui si è vestiti e essere sempre truccati e alla moda sembrano essere le priorità. Ogni mattina, prendendo la metro per andare a lavoro o all’università, mi ritrovo travolta da migliaia di coreani tutti attenti a sistemarsi i capelli e a ridefinire il loro trucco, le donne spesso con tacchi a spillo così vertiginosi che se li indossassi io, oltre a sembrare un insaccato pronto alla vendita, rischierei probabilmente di cadere e finire al pronto soccorso dopo il primo passo. Dopo 5 anni, anche io faccio parte di questa folla. Non esco per andare al lavoro senza essere perfettamente truccata e vestita e ci sono giorni in cui mi piace fare questa parte. Una parte, appunto. Sembra quasi una recita, in cui mi sento obbligata ad interpretare la parte della donna coreana di mondo sempre preparata e all’ultima moda. È una recita per me, ma ormai so benissimo che non sono l’unica, è una recita per tutti. L’importante è dimostrare al mondo quanto perfetti e alla moda si è, poi, appena arrivati in ufficio, la recita finisce. Le donne si tolgono i tacchi vertiginosi e li sostituiscono con pantofole di dubbio gusto e la loro recita per il momento finisce qui.
Dopo questi anni ho realizzato che per loro in realtà è un qualcosa di assolutamente normale. Non si vestono in tiro e truccano alla perfezione perché a loro piace o perché se facessero il contrario verrebbero giudicate, è semplicemente una regola sociale: se vai in determinati posti o stai in determinati ambienti devi essere perfetta, per tutto il resto viva il barbonaggio. Detto così sembra molto simile alla situazione in Italia, me ne rendo conto, ma in Corea la trasformazione è totale. In Italia in pochi si sognerebbero di andare a fare la spesa in ciabatte e pigiama, in Corea è semplicemente la routine.
La conclusione? Mi ritrovo una pelle perfetta (o comunque di certo molto più curata di 5 anni fa), ho molti vestiti alla moda e tacchi che non uso, ma alla fine della giornata, non mi interessa nulla di tutto ciò, mi bastano le mie belle ciabatte di plastica a righe e un bel pigiama da ajumma e sono pronta ad uscire nel vicinato. In Italia sarei già stata arrestata con l’accusa di esser una fashion killer.
Le relazioni con le altre persone
Mi sono sempre definita una timida estroversa, premettiamolo, ma vivere in Corea ha peggiorato e migliorato questa cosa allo stesso tempo.
Timida estroversa mi rendo conto che possa essere un accostamento di aggettivi confusionario, ma è l’unico modo che ho mai trovato per descrivermi: sono di base molto timida con le persone che non conosco, con molta difficoltà vado a parlare con sconosciuti, ma nascondo sempre questa mia timidezza diventando logorroica e quindi apparendo estroversa. Non parlo con sconosciuti perché mi sento a mio agio, ma ci parlo perché se non lo facessi diventerebbe ancora più imbarazzante.
In ogni caso, com’ è cambiato il mio rapporto con gli altri, partendo da una base di carattere appunto da timida estroversa? Come ho già detto è sia peggiorato che migliorato. In Corea la differenza di età è estremamente importante e anche un solo anno di differenza può mettere i bastoni tra le ruote alla nascita spontanea di un’amicizia. Inizialmente la cosa non mi toccava più di tanto, ma come ci sono coreani che, capendo che sei straniero, non ti fanno pesare la cosa, ce ne sono anche altri molto più conservatori. Con il corso degli anni mi sono ritrovata quindi anche io a dare molta importanza all’età e ora il mio carattere è completamente bipolare (nei confronti dei coreani). Con persone più piccole sento quasi una sorta di superiorità e sapendo che anche loro essendo io più grande si sentono in soggezione, sono molto più a mio agio a parlare con loro e il mio lato timido quasi si annulla. Il contrario invece capita con le persone più grandi. In quel caso sono io a sentirmi inferiore o comunque ad essere più prudente con le parole e questo da invece la possibilità al mio lato timido di esplodere.
Mi rendo perfettamente conto che questo lato della cultura coreana possa essere criticato ero io la prima a farlo, ma in fin dei conti è solo grazie a questo aspetto socio culturale se la Corea si può definire una nazione rispettosa. Gli anziani vengono rispettati dai giovani e succede lo stesso anche con i professori, entrambi atteggiamenti che in Italia non sono ormai più molto comuni. I ragazzini coreani portano rispetto verso gli adulti e gli educatori e la trovo una cosa estremamente positiva, un valore che nelle nuove generazioni in Italia (la mia compresa) si sta ormai perdendo.
Mi rendo conto di essere quindi diventata molto più rispettosa verso gli altri e allo stesso tempo sono io stessa che, se una volta ero molto più introversa e mi sentivo sempre inferiore agli altri, ora ritengo di dover ricevere eguale rispetto, se non per l’età, almeno per la mia posizione sociale. In sostanza posso dire mi abbia dato più sicurezza in me stessa e autostima.
Le priorità
Queste sono sicuramente il cambiamento più grande che c’è stato. Sono sempre stata una persona determinata e sognatrice, ma il mio punto debole è sempre stato che nonostante avessi molte passioni e interessi nessuna è mai stata abbastanza forte da superare le altre. Mi sono quindi sempre ritrovata in bivi in cui magari avrei dovuto scegliere tra due lavori e, il non avere una vera e propria passione, mi ha sempre portata a prendere la rovinosa scelta di scegliere di farli entrambi. Due lavori, due corsi universitari, un minimo bisogno di dormire la notte… mi sono ben presto ritrovata in una situazione in cui la mia vita sembrava non avere più uno scopo preciso: va bene lavorare per guadagnare e studiare per arricchirsi, ma a quale scopo se poi l’unico tempo libero rimasto era quello per dormire?
Mi rendo conto che in realtà questo è un circolo vizioso in cui è molto facile cadere quando si è in Corea. Questa è la vita standard di molti Coreani: studi, trovi lavoro in un’azienda, passi tutte le tue giornate lì, spesso lavorando anche il weekend e ti ritrovi alla fine a vivere una vita vuota, lavorano per arricchire un’azienda a cui di te, come persona, non gli interessa più di tanto e spesso rinunciando alla famiglia e agli amici.
In questo vortice di eventi, come ogni coreano, ci sono finita anche io. Il che, lo ammetto, è stato un bene. Se fossi stata in Italia probabilmente non mi sarei mai ritrovata ad avere due lavori, anche con responsabilità non indifferenti, prima ancora di laurearmi e probabilmente avrei passato i miei anni universitari sperando, dopo la laurea, di poter essere assunta in una buona azienda. Ora, avendo già fatto questa esperienza, ho avuto l’occasione di rendermi conto che tutto ciò non fa per me. Non voglio essere uno tra i mille impiegati di una azienda, non voglio sacrificare la mia vita lavorando ad orari improponibili per portare a casa uno stipendio che poi non potrò mai spendere. No, ho bisogno di più libertà. Se voglio rimanere in Corea, senza iniziare ad odiare la nazione che mi ha regalato tanto in questi 5 anni, non posso permettermi di finire nuovamente nella routine dell’impiegata aziendale. Questo, infatti, penso sia proprio l’ostacolo più arduo.
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Vivere la Corea come studenti o lavoratori part-time, per un periodo di tempo determinato è un esperienza fantastica, viverla da coreani può trasformarsi in un incubo da un giorno all’altro, dopo diversi anni di soggiorno qui, ci si rende conto di come la linea che separa le due esperienze va sempre più assottigliandosi.
Mi manca ancora un anno prima della laurea, il tempo a disposizione per chiarirmi le idee sulla direzione che voglio dare alla mia vita ce l’ho. Non so ancora se vorrò trascorrere altrettanti anni in Corea o se sceglierò una nuova destinazione, ma in ogni caso lo farò con la consapevolezza che voglio avere il totale controllo della mia vita e che non permetterò a nessuna società di impormi chi sono o cosa devo diventare.
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